La prima audizione del CEO di Facebook non ha riservato molte sorprese: i senatori sono apparsi scettici, ma anche incerti sulle decisioni da prendere.

Martedì il CEO di Facebook, Mark Zuckerberg, ha partecipato a un’attesa audizione davanti alla Commissione per l’energia e il commercio del Senato degli Stati Uniti, cui era stato invitato nelle settimane scorse per rispondere direttamente sul caso Cambridge Analytica e, più in generale, sul modo in cui la sua azienda gestisce i dati di oltre due miliardi di persone nel mondo. L’audizione ha attirato l’attenzione di tutte le principali emittenti televisive statunitensi, che hanno seguito in diretta le oltre tre ore di confronto tra Zuckerberg e i senatori. Come anticipato da molti osservatori, il dibattito è stato tranquillo e a tratti noioso, con alcuni membri della Commissione che non hanno dimostrato – anche per motivi anagrafici – di avere le idee molto chiare su come funzionino i social network, le applicazioni e più in generale Internet.

Zuckerberg, 33 anni, era visibilmente teso ed emozionato all’inizio dell’audizione, la sua prima volta davanti al Congresso, ma nel corso della giornata ha preso maggiore confidenza e ha risposto senza particolari esitazioni alle domande dei senatori. Dopo avere letto una dichiarazione, già resa nota nei giorni precedenti, ha dovuto ammettere gli errori compiuti da Facebook negli anni passati e assumersene le responsabilità. A una domanda più specifica ha risposto con una frase probabilmente preparata nei giorni scorsi, e sulla quale è poi tornato più volte nel corso dell’audizione: “Penso che sia praticamente impossibile avviare un’azienda nella stanza del tuo dormitorio e poi portarla a crescere fino al punto in cui siamo ora senza commettere qualche errore”.

Il tema della privacy è stato centrale nel confronto con i senatori, che in più occasioni hanno ventilato la possibilità di produrre nuove leggi per tutelare meglio gli utenti di Facebook e di Internet in generale. Negli Stati Uniti le leggi sulla protezione dei dati personali sono poche e non molto articolate, soprattutto se confrontate con quelle prodotte in questi anni dall’Unione Europea. Ci sono di fatto meno tutele e solo ora, con la vicenda di Cambridge Analytica e le interferenze russe nelle elezioni, molti politici statunitensi sembrano realizzare che siano necessarie nuove regole.

Sul tema della privacy il senatore democratico dell’Illinois, Richard Durbin, ha provato a mettere in difficoltà Zuckerberg chiedendogli se volesse condividere pubblicamente il nome del suo albergo a Washington e delle persone con cui si era recentemente scambiato messaggi. Zuckerberg ha declinato dicendo: “No. Non penso che sceglierei di dare qui queste informazioni”. Durbin ha quindi ribattuto: “Penso che si stia parlando proprio di questo. Il suo diritto alla privacy. I limiti del suo diritto alla privacy. E quante di queste informazioni vengano diffuse in America nel nome del ‘mettere in comunicazione le persone nel mondo’”.

Zuckerberg ha risposto a molte domande su come Facebook amministra i dati degli utenti e ne garantisce la privacy, ma in molti casi il dibattito ha assunto termini più generali e ha messo in evidenza il rapporto complicato tra Washington, dove ci sono i legislatori, e la Silicon Valley, dove si fa innovazione a ritmi tali da lasciare quasi sempre la politica e le leggi indietro. La mancanza di norme specifiche è stata percepita tradizionalmente dai politici statunitensi come il modo migliore per favorire l’innovazione, rendendo più competitive le aziende tecnologiche, e sicuramente ha dato i suoi frutti. Cinque delle più grandi aziende al mondo sono nate nella Silicon Valley e producono miliardi di ricavi ogni anno, con un importante indotto non solo per la California. Alcune sono diventate così grandi da essere quasi un monopolio, come nel caso di Facebook e Google, e ora alla luce dei recenti casi in molti si chiedono se abbiano fallito nell’autoregolamentarsi e se sia giunto il momento di intervenire con leggi e regole più rigide.

Durante l’audizione diversi senatori hanno parlato di Facebook come di un’azienda diventata “troppo grande” o ancora come una società senza veri concorrenti, quindi simile a un monopolio. Zuckerberg ha risposto dicendo di essere interessato a un dibattito su nuove regole per il settore, ma ha comunque respinto l’idea che la sua società sia un monopolio. In un confronto con il senatore repubblicano del South Carolina, Lindesy Graham, è stato però molto elusivo su quali siano i diretti concorrenti di Facebook, preferendo non fare nomi, cosa che è sembrata confermare implicitamente il punto sulla natura monopolistica di Facebook portato avanti da Graham.

Zuckerberg, più giovane di qualsiasi suo interlocutore nella stanza, ha risposto a decine di domande per due ore consecutive prima di accettare la proposta di prendersi una breve pausa. “Penso potremmo andare avanti ancora un quarto d’ora, prima di fermarci” ha detto ai senatori, che con sorpresa hanno proseguito l’audizione. Davanti agli oltre 40 senatori della Commissione, Zuckerberg è apparso via via più sicuro di sé e anche pronto a fare qualche battuta. Il titolo in borsa di Facebook, sorvegliato dagli analisti per buona parte della giornata, ha guadagnato il 4,5 per cento, il miglior risultato degli ultimi due anni e che conferma la fiducia degli investitori nella linea seguita dal CEO della società.

Rispondendo a una domanda sui contenuti che vengono pubblicati su Facebook, e che per esempio hanno contribuito alla diffusione di notizie false o della propaganda russa a favore di Donald Trump, Zuckerberg ha per la prima volta ammesso chiaramente che: “Siamo responsabili per i contenuti, ma non ne produciamo”; per questo motivo non ritiene che Facebook possa essere considerato un editore. L’ammissione è importante perché per anni Zuckerberg ha sostenuto il ruolo “neutrale” della sua azienda, vista come un sistema per consentire alle persone di condividere le loro cose online, senza che Facebook ne avesse particolari responsabilità.

Salvo alcune eccezioni, le domande rivolte a Zuckerberg durante l’audizione sono state generiche e talvolta incomprensibili. Nonostante gli appunti preparati dai loro collaboratori, alcuni senatori – nati e cresciuti quando non c’erano i social media – hanno dimostrato di non avere le idee molto chiare sul funzionamento di Facebook o di Internet in generale. In diversi casi Zuckerberg ha dovuto chiedere ai suoi interlocutori se potessero chiarire meglio le loro domande. Molti giornalisti che hanno seguito l’audizione hanno avuto le stesse difficoltà di comprensione, commentando su Twitter di non avere capito le richieste del senatore di turno.

Non è ancora chiaro se nei prossimi mesi saranno prodotte nuove leggi per regolamentare i social network e mettere nuovi vincoli sulla privacy, eventualità su cui molti senatori sono apparsi restii. Le severe considerazioni su Facebook sono sembrate più che altro un avvertimento nei confronti di Zuckerberg e della sua azienda, per indurli a fare meglio e a rimediare velocemente agli errori compiuti. Lo stesso Zuckerberg ha ammesso che le recenti vicende “ci hanno danneggiati” e che farà il possibile per recuperare la fiducia degli utenti. Mercoledì Zuckerberg parteciperà a una seconda audizione, questa volta organizzata dalla Camera dei Rappresentanti, a partire dalle 14:15 di Washington, le 20:15 in Italia.

 

FONTE: IlPost.it